Preparazione e cementazione di un intarsio dentale

Preparazione e cementazione di un intarsio dentale | Studio Mario Lisa

Il filmato che proponiamo ci consente di puntualizzare alcuni concetti riguardo la cementazione delle protesi in bocca: intarsi, corone, ponti. Tutte le protesi che sostituiscono una parte più o meno estesa di dente devono venire fissate tramite un cemento nel modo più stabile possibile alla struttura che vanno a ripristinare costituendo quindi con essa un’unità funzionale ed estetica completa. 

 

Il cemento andrà a occupare lo spazio esistente fra il restauro e il dente, che dipende dall’adattamento e dalla precisione della protesi, per un periodo idealmente indefinito, realizzando una interfaccia complessa cemento-protesi e cemento-dente. Il compito del cemento risulta particolarmente arduo se consideriamo che esso rappresenta l’anello di connessione fra unità molto diverse per rigidità, bagnabilità, chimica, direzione del movimento.

 

Vedi anche: Il modo più semplice per riparare e conservare un dente colpito dalle carie

Cementazione intarsio: requisiti dei cementi

I cementi idealmente dovrebbero avere numerose e diverse qualità. Dal punto di vista biologico dovrebbero essere atossici, non ledere la polpa dentaria ed aumentare la carioresistenza del sistema dente protesi. Dovrebbero avere alta resistenza alla trazione ed alla compressione, essere maneggevoli, poco o nulla solubili, sviluppare un’adesione chimica al dente. In alcuni casi sono necessarie anche proprietà estetiche, per esempio nella cementazione delle sottilissime faccette in ceramica.

 

Un tipo di classificazione dei cementi ne prevede la suddivisione in base alla capacità di legarsi o meno ai tessuti duri dentali. I cementi non adesivi (per esempio l’ossifosfato di zinco e i policarbossilati), non hanno alcuna potenzialità di legame a smalto e dentina; quelli adesivi, al contrario, possono legarsi in modo intrinseco ai tessuti duri per mezzo di uno scambio ionico, realizzando un’adesione squisitamente chimica, come i cementi vetroionomerici, i vetroionomerici modificati con resina, oppure sfruttare un’interconnessione micromeccanica basata su un condizionamento del substrato come i cementi compositi resinosi.

 

I cementi non adesivi hanno un utilizzo ormai limitato a protesi con elevata ritenzione legata alla frizione intrinseca del manufatto :in genere corone in metallo ceramica. Le caratteristiche della preparazione dentale sono infatti un elemento discriminante nella scelta del cemento; quando il moncone possiede un’altezza verticale (dimensione cervico-coronale) di almeno 3 mm, l’angolo di convergenza si attesta tra i 4° e i 10° e la rifinitura è stata realizzata con frese diamantate a grana grossa/media, l’utilizzo di un cemento tradizionale può essere appropriato; in caso contrario o qualora non si possano incorporare caratteristiche di macroritenzione primaria (scanalature, pozzetti, ecc.) nel dente, la scelta ricade sui cementi compositi, per la possibilità di un legame adesivo ai tessuti duri. Indipendentemente dal tipo di protesi utilizzato per la riabilitazione, i cementi compositi presentano caratteristiche favorevoli in svariate condizioni cliniche: in primo luogo i livelli di solubilità (<1 µg/ mm3) sono inferiori a quelli dei composti non adesivi; per questo motivo le probabilità di microinfiltrazione e lo sviluppo di carie secondaria sono fortemente ridotti.

 

 

Questo elemento assume maggiore peso in presenza di restauri il cui adattamento marginale non sia eccellente. In presenza di margini visibili, la disponibilità di differenti colori che si accoppiano con quelli di smalto e dentina costituisce un altro vantaggio dei cementi compositi. Sicuramente questo tipo di cemento richiede una manipolazione in campo asciutto e ben controllato.

Cementazione intarsio: un approfondimento su materiali e sistemi

I cementi compositi hanno una composizione simile ai materiali compositi per le otturazioni anche se nel loro caso prevale la componente resinosa fluida rispetto a quella del riempitivo inorganico solido. Possono indurirsi polimerizzando con una reazione attivata da una luce adatta (fotoattivazione), per autopolimerizzazione o con meccanismo duale, cioè in parte auto ed in parte fotoattivato.

Il composito si lega ai tessuti dentali (smalto e dentina) tramite un sistema adesivo smalto dentinale a base prevalentemente resinosa.

I primi studi sull’adesione dentale risalgono all’anno 1955, quando Buonocore dimostrò che la mordenzatura dello smalto con acido ortofosforico permette la dissoluzione della componente minerale sottostante e quindi la formazione di microporosità. La resina, applicata allo smalto mordenzato, si infiltra e diffonde per capillarità nelle microporosità, formando uno strato composito smalto-resinoso interconnesso. Questa tipologia di legame è a oggi la più affidabile. Il legame adesivo dei materiali compositi alla dentina è invece considerato meno affidabile rispetto allo smalto. In seguito alla strumentazione della dentina con le frese di preparazione, si assiste allo sviluppo di uno strato di detriti (smear layer), costituito da materiale inorganico incorporato in una matrice organica, tenacemente adeso alla superficie sottostante.


Esistono due filosofie a proposito del trattamento dello smear layer: il primo approccio è mirato alla sua rimozione completa attraverso un passaggio separato di mordenzatura acida seguito da risciacquo (“total-etch” o anche meglio definito “etch-and-rinse”) ed è la metodica più sicura che noi utilizziamo; la seconda metodica preserva lo smear layer (self-etch), i passaggi di condizionamento e priming del substrato sono unificati e non è necessaria una fase di risciacquo.Il vantaggio di questa metodica è il risparmio di tempo legato ad un minor numero di passaggi.


In entrambe le metodiche, l’adesione è micromeccanica e basata sulla creazione di una zona di interdiffusione tra il sistema adesivo e la dentina, detta strato ibrido (hybrid layer). In presenza di restauri protesici interamente in composito (corone, intarsi, faccette) come nel nostro filmato, la possibilità di ottenere un monoblocco funzionale, grazie all’utilizzo di materiali con caratteristiche fisico-meccaniche (in particolare per quanto riguarda l’elasticità) analoghe e alla formazione di interfacce non dissimili, suggerisce logicamente l’impiego di un cemento composito.


Per quanto riguarda il tipo di polimerizzazione, nel caso di un intarsio in composito sicuramente è da preferirsi una polimerizzazione duale, in quanto lo spessore dell’intarsio stesso non garantisce un passaggio sufficiente di luce in profondità con la garanzia di una completa polimerizzazione del cemento. Al contrario nel caso di faccette in ceramica un cemento esclusivamente fotopolimerizzabile offre un tempo di lavorazione più lungo ed una stabilità cromatica migliore potendo essere indurito completamente. L’uso di un sistema adesivo a 3 passaggi (mordenzatura e risciacquo-applicazione del primer-applicazione della resina composita adesiva come da noi mostrato) rispetto al sistema a due o una sola fase gode del vantaggio di non presentare delle interferenze nella polimerizzazione dei cementi duali che altrimenti si osservano a causa della composizione dei sistemi adesivi semplificati.


L’utilizzo dei sistemi adesivi semplificati, in aggiunta all’appurata incompatibilità con i cementi resinosi duali, è sconsigliato per la loro caratteristica idrofilicità: tale proprietà consente il flusso di acqua attraverso lo strato ibrido; vere e proprie“gocce” derivate dai fluidi dentinali possono accumularsi all’interfaccia con il dente portando al fallimento del legame cemento-adesivo. Un’ulteriore problematica che affligge i cementi compositi è l’intrappolamento, conseguente alla miscelazione o al posizionamento, di bolle d’aria e vuoti: essi agiscono come punti di concentrazione degli stress durante tensioni e compressioni del materiale, potendo causare fratture; inoltre, l’ossigeno contenuto nell’aria può inibire la polimerizzazione. La riduzione dell’inclusione di bolle d’aria può essere ottenuta attraverso meccanismi di automiscelazione e con l’erogazione del materiale tramite siringhe con puntale, direttamente a contatto con la superficie del restauro e/o del dente come mostrato nel filmato.

Cementazione intarsio: protocollo operativo

Il protocollo operativo della cementazione con cemento composito duale di un intarsio prevede:

– Pulizia accurata del dente dal restauro provvisorio.

Noi utilizziamo una microsabbiatrice .

– Prova estetica e della precisione del manufatto protesico.

– Preparazione della superficie interna del restauro all’adesione.

Nel caso di un intarsio in composito si procede alla microsabbiatura e all’applicazione di uno strato di adesivo

– Isolamento del campo operatorio.

A mezzo diga. Qualora ci fossero parti del restauro leggermente intrasulculari si può utilizzare un filo retrattore specifico.

5 – Adesione sul dente preparato e sul restauro.

Ogni volta che ci si appresta a realizzare un restauro adesivo indiretto, la dentina può essere sigillata immediatamente dopo la preparazione protesica come da noi chiaramente mostrato nel filmato (immediate dentinal sealing). Un gran numero di motivazioni rende razionale questa procedura, supportandola anche dal punto di vista tecnico-pratico. La dentina “fresca” (appena strumentata e tagliata dall’azione delle frese) è il substrato ideale per l’adesione: infatti, nessun cemento provvisorio o altro tipo di contaminante ne ha alterato le proprietà. 

 

L’ibridizzazione immediata protegge inoltre la dentina dall’infiltrazione batterica e dall’ipersensibilità durante la fase in cui il paziente porta il provvisorio. I valori di adesione si riducono ogni volta che l’agente adesivo e il composito sono polimerizzati insieme; si elevano, al contrario, per mezzo di una polimerizzazione separata(precuring). Il precuring, sebbene non ponga problemi alla stratificazione diretta del composito nelle otturazioni, talvolta genera spessori incompatibili con un corretto adattamento della protesi da cementare. In altre parole, il precuring aumenta l’adesione impedendo il collasso dello strato ibrido, ma è sconsigliato nelle cementazioni per questioni di spessori aumentati.

 

Questo problema può essere risolto applicando l’adesivo (e foto-polimerizzando direttamente) subito dopo la preparazione, prima della presa dell’impronta, ottenendo legami superiori a quelli realizzabili con tecniche senza precuring. Il legame adesivo con la dentina raggiunge e sviluppa la sua massima forza nel tempo; a causa del completamento della polimerizzazione di differenti monomeri, i valori di resistenza, infatti, aumentano a distanza di una settimana. Invece, se si effettua l’ibridizzazione della dentina contestualmente alla cementazione, il legame è immediatamente minacciato dalla contrazione del cemento composito sovrastante e dalle forze occlusali; d’altra parte, con l’immediate dental sealing il posizionamento“posticipato”del restauro e l’applicazione rimandata dei carichi masticatori facilitano la maturazione del legame con il dente, risparmiandolo dagli stress. I vantaggi reali che derivano da questa tecnica includono un maggiore comfort per il paziente, una massima preservazione della sostanza dentale, l’utilizzo di un adesivo fotoattivabile senza incorrere nel pericolo di polimerizzazione inefficiente, il trattamento separato dello smalto. 

 

Considerando la potenziale esposizione dell’adesivo polimerizzato ai fluidi orali e al meccanismo di assorbimento di acqua, è prudente ridurre la durata dell’uso di un provvisorio a un massimo di due settimane,cosa che per un intarsio è assolutamente compatibile con i tempi di laboratorio. Dopo aver attuato l’ibridizzazione dentinale immediata, nell’appuntamento successivo di cementazione del restauro definitivo la superficie dentinale che era stata ibridizzata deve essere riattivata (irruvidita): per raggiungere questo obiettivo usiamo una microsabbiatrice. A questo punto, la superficie dentale può essere trattata come se si trattasse esclusivamente di smalto: mordenzatura con acido (30s), risciacquo, asciugatura e passaggio del solo adesivo. Il precuring non è più necessario e si può attuare la polimerizzazione simultaneamente, con il cemento composito sovrastante.

– Applicazione e posa del restauro.

L’intarsio essendo un restauro non traslucente, di elevato spessore richiede un cemento duale; il cemento deve essere irradiato con la lampada fotopolimerizzante, per massimizzare le sue proprietà meccaniche e adesive grazie alla conversione dei monomeri. Il cemento viene spalmato sulla superficie interna del restauro e sulla preparazione; si alloggia poi il manufatto sul sito dentale preparato esercitando una pressione crescente per permettere all’eccedenza di materiale di fuoriuscire. Si procede infine al completo adattamento del restauro all’elemento, manualmente .Maggior pressione garantisce miglior cementazione.

– Rimozione delle eccedenze di cemento.

Le eccedenze di cemento vanno rimosse con cura, mantenendo contemporaneamente in posizione il restauro con uno strumento manuale o le dita della mano. Per questa operazione, è preferibile utilizzare delle sonde, spugnette, fili cerati o spugnati. Questo passaggio clinico è delicato: in primo luogo, perché se permangono dei residui di cemento risulterà quasi impossibile rimuoverli dopo la polimerizzazione; in aggiunta, si rischia di provocare una irritazione cronica ai tessuti molli parodontali. Dopo aver rimosso le eccedenze, le fasi di polimerizzazione, rifinitura e lucidatura del restauro completano la procedura di cementazione.

 

Per maggiori approfondimenti sulla cementazione di un intarsio dentale contattate lo Studio Mario Lisa.